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Solo l’aumento della spesa pubblica può rimettere in moto la domanda. È quello che hanno fatto Usa e Cina ed è quello che l’Europa ostinatamente si rifiuta di fare, autocondannandosi al declino. di A. Terzi

 

Sembra che nel dichiarare guerra alla disoccupazione il governo italiano abbia finalmente preso atto di una semplice verità: i posti di lavoro sono scomparsi perché il fatturato delle imprese è crollato – e senza domanda, non c’è lavoro. Da qui nasce il provvedimento che riduce il prelievo fiscale sui lavoratori dipendenti per dare una mano alla ripresa dei consumi. Renzi avrebbe preferito poterlo fare senza vincoli sul rapporto deficit/Pil, ma dovrà rassegnarsi a farlo tagliando contestualmente la spesa pubblica. Dovrà insomma trovare risparmi di spesa sufficienti a finanziare la perdita stimata del gettito. Come ha ribadito il ministro Padoan, “tagli permanenti di tasse saranno finanziati da tagli permanenti di spesa”.

Non serve la sfera di cristallo per prevedere gli effetti strettamente legati a questa manovra. Molto semplicemente, qualcuno in Italia starà meglio e qualcun altro starà peggio. La riduzione della spesa (buona o cattiva che sia) comprime immediatamente redditi e risparmi del settore privato. D’altro canto, la riduzione dell’Irpef lascerà nelle tasche di qualcun altro più reddito e più risparmio. Crescerà la domanda interna? Poco o nulla. E anzi calerà, se una fetta di quel reddito redistribuito ai lavoratori dipendenti non dovesse essere spesa.
Sarebbe più efficace questa manovra se Renzi potesse sforare i limiti imposti dalle regole comuni sul disavanzo? Sì, ma solo marginalmente. Perché se i risparmi creati dalla riduzione fiscale saranno spesi in merci tedesche, crescerà il Pil della Germania e l’Italia si ritroverà presto col rapporto deficit/Pil di nuovo in allarme rosso.
Insomma, a parte i comprensibili obiettivi elettorali, l’impostazione del governo italiano sembra ancora legata a una visione del problema della disoccupazione che non va oltre il proprio orticello. E in questo Renzi in Europa è in buona compagnia. L’auspicio rimane quello che i leader europei (Renzi compreso) si muniscano di una lente con una focale diversa, in grado di abbracciare la questione complessiva dell’Eurozona (e dell’Unione Europea).
 
 

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