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"GLI STATI MINACCIANO IL TTIP". BUFERA SUL MINISTRO ITALIANO. *

Calenda critica la necessità di passare per i parlamenti nazionali

Il ministro Carlo Calenda, quarantatre anni.

 “Gli Stati sentono che gli accordi di libero scambio sono sempre più avversati dalle opinioni pubbliche e per questo vogliono tornare ad avere un peso sempre maggiore nella decisione e anche un po’ nella negoziazione di questi accordi, ma“una competenza chiave dell’Europa era quella di affrontare gli accordi di libero scambio proprio perché metteva in risalto la nostra dimensione continentale. Gli accordi di libero scambio dell’Europa con Usa e Canada, il Ttip e il Ceta, sono fondamentali, se saltano la politica commerciale dell’Europa è morta”. Queste parole del ministro allo Sviluppo Economico Carlo Calenda hanno sollevato una bufera sul dicastero che fu di Federica Guidi.

Stanti le crescenti manifestazioni critiche nei confronti del trattato, fra gli avversori del quale non mancano eminenti economisti come il premio Nobel Joseph Stiglitz, l’uscita del ministro ha riproposto il tema della democraticità intorno a certe decisioni a livello comunitario.

“Che nell’Unione Europea gli stati nazionali siano considerati come fumo negli occhi – dice in proposito l’esperto di studi europei Cesare Sacchetti -, è una storia alquanto vecchia. Ora non si va nemmeno tanto per il sottile e ci viene detto chiaramente in faccia dai suoi stessi apologeti. La preoccupazione del ministro Calenda è quella che di tanto in tanto la democrazia e la costituzione facciano il loro mestiere. Vuole avere la certezza che il TTIP vada in porto, e propone, per giunta, una sorta di trasferimento dei poteri e delle prerogative parlamentari, a quella che gli euristi chiamano ‘governance europea‘. In altre parole, dice Calenda, sia la Commissione Europea ad approvare e ratificare direttamente questo trattato, e si superino le noiose e lente procedure di approvazione degli stati nazionali. Il problema, per il neo-ministro, nasce dall’invadenza degli stati che vogliono tornare a fare gli stati e per questo vogliono tornare ad avere un peso sempre maggiore nella decisione e anche un po’ nella negoziazione di questi accordi. Semplicemente inaccettabile per coloro che hanno già preso questa decisione per i popoli europei”.

“L’Ue diverrebbe un mercato di sbocco delle imprese americane e non viceversa – continua Sacchetti su Il Fatto Quotidiano – dal momento che la parità di cambio tra euro e dollaro non sarà raggiunta nemmeno quest’anno, come hanno già dichiarato numerosi analisti, e un euro forte farebbe dell’Ue un importatore dei prodotti americani, che inonderebbero i mercati europei. Non solo ci sarebbero gravi conseguenze economiche per l’equilibrio della bilancia dei pagamenti, ma anche di carattere sanitario ed ambientale, quando i prodotti americani vengono sottoposti a standard sanitari ed ambientali, molto meno severi di quelli dei loro omologhi europei. Oltre a saltare i controlli di accesso al mercato europeo, verrebbero privatizzati quei pochi settori rimasti nelle mani del settore pubblico, come quello sanitario europeo che fa gola alle compagnie assicurative americane. In una parola, l’armageddon della costituzione e la nascita di un vero e proprio Leviatano, che non risponde né ai popoli né agli stati, ma solo ad una ristretta élite di industrie transnazionali. Se non è questa una forma di totalitarismo, non si sa davvero come altro definirla”.

Ma nemmeno su organi di stampa meno ‘ostili’ si risparmiano critiche a Calenda. Su La Repubblica è Giuliano Balestreri, esperto di economia ed Europa, ad accusare Calenda di invertire i fattori. “Non disturbate il manovratore. Soprattutto quando è impegnato a negoziare un accordo importante come il TTIP – il trattato di libero scambio tra Ue e Usa – e quando le trattative procedono silenziose lontane dai riflettori. Eppure i trattati Europei sono chiari: se in genere gli accordi di libero scambio prevedono una competenza esclusiva dell’Unione europea, quelli che affrontano anche materie diverse – dalla governance ai servizi, dai trasporti alla tutela degli investirori (il TTIP in particolare li tratta tutti) – sono di competenza condivisa con gli Stati membri. E non potrebbe essere diversamente dal momento che sono destinati ad avere un impatto enorme sulle vite dei cittadini elettori. Pensare di lasciare mano libera alle tecnocrazie, prima di aver raggiunto una vera politica comune europea, aprirebbe le porte a quella che Colin Crouch definisce “post democrazia”: un mondo nel quale le istituzioni continuano a esistere, ma sono svuotate di ogni reale potere.

LA FRANCIA SI MUOVE – “Noi francesi e voi italiani abbiamo molti interessi in comune, ma gli americani non vogliono ascoltare. E noi, possiamo forse accettare che le cose non cambino? Se le condizioni sono queste, allora diciamo di no al trattato di libero scambio tra Europa e Usa”.  Così parla la Francia, o meglio così parla Matthias Fekl, il 37enne che da Parigi regge le fila del dossier “TTIP”. Il segretario di Stato per il commercio estero è al fianco di François Hollande in quella che chiama “la lotta”, e che lui combatte, diplomaticamente, dal Quai d’Orsay. “Gli americani devono aprire di più i loro mercati”, dice Fekl, che spiega le ragioni della contrarietà di Parigi al TTIP: le troppe poche concessioni fatte dagli Usa, la difesa del made in France (o del made in Italy) e di “una certa qualità della vita”, la tutela dell’ambiente e dell’accordo sul clima, l’equità, la trasparenza dei negoziati.

“Gli europei danno la sensazione, a volte, di considerare un onore il fatto stesso di negoziare con gli Usa, senza considerare con concretezza e precisione se i negoziati vanno o no in una direzione favorevole per le nostre economie. Ad oggi, gli europei hanno fatto molte offerte assai precise, gli americani invece non hanno dato alcun segnale positivo. Allo stadio attuale dei negoziati, ci sono ragioni di fondo per dire forte e chiaro “no” al TTIP”.

* Tratto da QuiFinanza

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