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UNA GIGANTESCA QUESTIONE MORALE. Di Francesco Mario Agnoli

Fra i molteplici aspetti della crisi che travolge il Consiglio Superiore della Magistratura e, di rimbalzo, l’Associazione Nazionale Magistrati, i mass-media hanno privilegiato quello forse meglio percepibile dall’opinione pubblica, ma meno rilevante: la partecipazione dei partiti politici alla scelta dei magistrati  da mettere a capo degli uffici giudiziari, soprattutto di quelli di maggior peso (per tradizione la Procura della Repubblica di Roma vale due ministeri).  Su questo aspetto  pienamente condivisibili due righe del comuni di Magistratura Indipendente  (la “corrente”  esclusa  dalla  nuova Giunta dell’Anm per avere sulle prime  invitato i “suoi” tre consiglieri coinvolti  a revocare l’autosospensione), che individuano il guasto nella violazione del “principio che solo nella sede istituzionale del CSM debba trattarsi delle nomine e delle questioni riguardanti i magistrati e nessun incontro a ciò finalizzato deve svolgersi all’infuori di essa”.  Nel mio piccolo,   pochi giorni prima avevo cercato di  spiegare l’accaduto agli amici di una mailinglist, nella quale  non  figurano altri magistrati, con tre paginette rievocative di quanto avveniva nel CSM di cui ho fatto parte (1986-1990). Vi riconoscevo che  già allora (e prima)  riusciva difficile ai consiglieri non tenere conto  delle aspettative della “corrente” che li aveva candidati e sostenuti (le critiche al “correntismo” sono vecchie di decenni) e dei colleghi che li avevano votati. Aspettative particolarmente pressanti in occasione del conferimento di uffici  direttivi e semidirettivi, perché, come in ogni categoria professionale, se non tutti, moltissimi aspirano a fare carriera e, ritenendosene più che meritevoli, danno “per scontato che il consigliere  sostenga  (a volte oltre il limite della ragionevolezza) le sue aspirazioni e si adoperi presso gli altri componenti  prima nella Quinta poi, al cosiddetto “plenum”, cui spetta la deliberazione finale, per realizzarle”.  Aggiungevo che di nomine si occupavano non solo i consiglieri togati, ma anche i “laici” (eletti, con rigorosa applicazione del manuale Cencelli, dal Parlamento), che avevano (e hanno) alle spalle non correnti associative, ma partiti (all’epoca quelli della Prima Repubblica,  Dc, Pci, Psi)  “anche loro interessati, a volte molto interessati, a che un certo ufficio venga assegnato ad un determinato  magistrato piuttosto che ad un altro”. Naturalmente ai “laici” serviva il voto di un po’ di “togati”. Di qui rapporti privilegiati fra  “laici” di  questo e quel partito e  “togati” di questa o quella corrente (non necessariamente sempre la stessa e spesso nemmeno la più vicina ideologicamente), sicché, grazie agli incontri indispensabili  a tal fine, ”il “togato” che non aveva per quelle sedi un proprio candidato con possibilità di successo, poteva, accordando il voto proprio e dei colleghi del gruppo, assicurarsi  un’ampia apertura di credito  per i posti in ballo nell’immediato futuro”. La differenza  rispetto all’attualità stava nel fatto che “all’epoca i “togati” non tenevano rapporti diretti con  partiti politici o con loro rappresentanti esterni al CSM. Tutto (contatti, trattative, rinunce, accordi) avveniva all’interno dell’organo, nel rapporto con i consiglieri “laici”, quindi in maniera, tutto sommato, “istituzionale”. Difatti, se i padri costituenti hanno voluto  che un terzo dei componenti dell’organo di autogoverno della magistratura sia di nomina politica, evidentemente hanno ritenuto che anche i partiti debbano dire  la loro (non solo in via generale in Parlamento, ma nella concretezza della quotidianità) sull’amministrazione giudiziaria, nella quale i posti direttivi e semidirettivi svolgono un  ruolo non da poco”.

   Insomma, i partiti hanno sempre legittimamente  partecipato alla nomina dei dirigenti  degli uffici giudiziari. Questa volta, con la complicità di alcuni consiglieri “togati”, si è cercato di farlo in forme improprie e attraverso personaggi a ciò non istituzionalmente delegati. Per i “togati” un peccato grave, forse gravissimo, ma comunque non “la gigantesca questione morale che investe la magistratura”, di cui ha parlato  Luca Poniz, nuovo presidente dell’Anm.  A parte il caso di Luca Palamara, da accantonare  in attesa di conferma o smentita nelle sedi opportune delle accuse anche di rilievo penale a lui rivolte, e dell’ex ministro piddino Luca Lotti (singolare la presenza di tanti Luca!), che, da inquisito, cerca ogni occasione per tirarsene fuori e comunque non ha mai fatto parte dell’ordine giudiziario, gli altri protagonisti sono “consiglieri superiori” da pochi mesi, ma magistrati da parecchi anni. Qui appunto il nocciolo della gigantesca questione morale: che  un certo numero di magistrati, non necessariamente significativo, ma nemmeno minimo e certamente non insignificante, sia disponibile ad incontri  con un inquisito (che sia politico e di peso può essere una spiegazione, ma anche  un’aggravante) più o meno palesemente (mi sforzo di scoprire qualcosa che consenta l’approdo ad un giudizio di semplice “imprudenza”) intesi a escogitare modi, mezzi,  personaggi che consentano al potente in difficoltà di “sgavagnarsela”. Purtroppo la gigantesca  questione morale sta a monte dell’elezione, riguarda solo in seconda battuta il CSM, in prima, usando l’espressione di Pomiz, “investe la magistratura”.  In alternativa si dovrebbe pensare che i magistrati scelgano volutamente per esserne rappresentati in Consiglio i colleghi meno affidabili. Oppure che l’aria di Roma sia così marcia e inquinata che bastano sei mesi per rovinare le migliori reputazioni (l’ipotesi non è del tutto da scartare e in questo caso il rimedio sarebbe semplice: trasferireil Consiglio in estrema periferia, luoghi come Bertinoro o Cusercoli nelle colline forlivesi). Non è invece un rimedio la scelta dei consiglieri  per sorteggio come da più parti proposto, ma giustamente definita “insensata” dal presidente emerito della Corte costituzionale Valerio Onida.Il caso è per definizione cieco sicché fra i sorteggiati potrebbero capitare i più incapaci o  i meno onorabili della categoria. Un rischio tanto più elevato adesso che si ha motivo di temere che questa componente  non sia così ridotta come  si credeva. E sperava.

Francesco Mario Agnoli

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