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IL REGNO DEI FANES. ANALISI DI UNA LEGGENDA DELLE DOLOMITI DI ADRIANO VANIN. A cura di Riccardo Pasqualin.

A. Vanin, Il Regno dei Fanes, Il Cerchio.

La bellezza delle Dolomiti colpisce da sempre l’immaginazione di chi le abita e dei viaggiatori di passaggio. Di mattina queste montagne magiche si mostrano pallide, di un color rosa tenue che incanta chi le vede, ma è al tramonto che le rocce raggiungono il loro massimo splendore; nell’ora dell’Enrosadira, i monti assumono sfumature di un rosso intenso, simile a quello dei fiori di un immenso roseto.

Era inevitabile che un ambiente così suggestivo dovesse ispirare un’infinità di racconti affascinanti  e infatti appaiono sempre nuovi libri dedicati alle leggende ladine, un argomento in cui si sono sbizzarriti diversi autori con rifacimenti, riproposizioni e reinterpretazioni personali. Tra queste storie l’epopea dei Fanes è sicuramente la più famosa e la più amata, ma si differenzia da tutte le altre leggende ladine, poiché è più ampia e si sviluppa come un ciclo epico vero e proprio, narrando l’ascesa e il declino di un mitico reame che si estendeva sull’Altopiano di Fanes, tra l’Alta Val Badia e la conca di Cortina d’Ampezzo.

I vari adattamenti di questa saga ladina riescono ancora a stregare la fantasia dei turisti e dei lettori di tutte le età, ma frequentemente tali opere letterarie non sono accompagnate da testi che spieghino qual è la vera storia di questo materiale folklorico e di come esso sia giunto sino a noi.

A coloro che fossero interessati ad uno studio attento e rigoroso sulle leggende dolomitiche si può consigliare la lettura de Il Regno dei Fanes, Analisi di una leggenda delle Dolomiti: il saggio dello studioso Adriano Vanin pubblicato nel 2013 dall’editore il Cerchio.

In questo volume l’autore spiega che le testimonianze sulle storie dei Fanes furono raccolte e trascritte dallo scrittore Karl Felix Wolff (Karlstadt, 1879-Bolzano, 1966) nelle Dolomitensagen, pubblicate per la prima volta, in lingua tedesca, nel 1913, modificate, integrate più volte e tradotte in italiano in una trilogia: I monti pallidi, L’anima delle Dolomiti e Rododendri bianchi delle Dolomiti.

La biografia del folklorista tirolese, fedele suddito dell’Impero Austroungarico, è piuttosto interessante; già dalla loro prima pubblicazione i suoi libri si dimostrarono un grande successo nelle vendite e anche oggi le loro riedizioni sono facilmente reperibili tra gli scaffali delle librerie. Tuttavia, anche «Chi conosce le leggende ladine solo attraverso i libri di K.F. Wolff […] se ne è fatto probabilmente un’idea non del tutto esaustiva» afferma Vanin, «in quanto Wolff non ha raccolto e ri-raccontato tutto quello in cui si è imbattuto, ma ha svolto un’accurata selezione a priori, eliminando ciò che non era abbastanza poetico per i suoi gusti» (pp. 15-16). Questo appassionato di antropologia e di costumi popolari, quindi, non fu un vero scienziato del folklore, poiché non adottò un metodo rigoroso e non si curò di archiviare con ordine, così come le aveva potute ascoltare, le esposizioni che aveva pazientemente raccolto. Agì piuttosto seguendo l’esempio dei fratelli Grimm e dei romantici.

Scomponendo i testi wolffiani, Vanin cerca di isolare la genuina materia popolare e, al contempo, analizza le tesi interpretative già proposte da illustri studiosi. Benché il Wolff sia stato accusato da alcuni critici suoi contemporanei di aver inventato di sana pianta le leggende, Vanin arriva a concludere che la presenza di elementi sciamanici in questa zona dell’Europa sia una garanzia credibile di antichità «sebbene nel relativo isolamento delle Alpi non si possa escludere la permanenza di taluni arcaismi anche in epoche relativamente tarde» (p. 49).

Lo stesso Wolff doveva essere consapevole di aver rinvenuto solo dei frammenti e i vaghi retaggi di una base mitologica ormai perduta, ma decise di unirli, integrarli e amalgamarli seguendo la sua idea di «far rivivere il teatro popolare ladino (in funzione eminentemente antitaliana)» (p. 99).

Adriano Vanin è stato per dieci anni responsabile delle operazioni di soccorso speleologico in Lombardia e in questo libro dà prova del suo grande amore per la montagna, mostrando una profonda conoscenza dei luoghi che Wolff citò nei suoi testi e tentando di localizzare geograficamente le zone in cui potevano essere stanziati i mitici popoli che si affrontano negli episodi della storia del Regno dei Fanes. L’aspetto più interessante e originale del saggio è la scelta di avanzare delle ipotesi tese a cogliere delle possibili radici storiche nelle leggende, cioè il loro cosiddetto “fondo di verità”. Nelle storie dei Fanes potrebbero effettivamente nascondersi i ricordi sbiaditi delle antiche dispute tra le genti che abitarono le Alpi orientali e le chiavi di lettura offerte in questo testo appaiono convincenti, ma, come riconosce con onestà l’autore, ormai è quasi impossibile sperare di giungere a delle risposte che chiariscano definitivamente i dubbi degli studiosi, poiché «Una leggenda è come la deposizione di un pentito: in sé non prova proprio nulla, ma vale certamente la pena di cercare se non ne sussistano dei riscontri obbiettivi» (p. 218).

Il Regno dei Fanes, Analisi di una leggenda delle Dolomiti è quindi uno dei lavori più adatti per avvicinarsi allo studio delle vecchie storie ladine e distinguere efficacemente i “restauri” e le invenzioni proposte dagli scrittori dei secoli scorsi e dai narratori contemporanei – nelle loro (pur godibili) rielaborazioni letterarie – dalle vere tracce dell’autentica tradizione orale, oggi completamente scomparsa.

Riccardo Pasqualin

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