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DONATO DE FRANCESCO, "I MISFATTI DELLA RAGIONE". Di Riccardo Pasqualin.

D. De Francesco, I Misfatti della Ragione, Il Cerchio, 2020.

Donato De Francesco è nato a Sant’Eusanio del Sangro, in provincia di Chieti, nel 1931. Lavorando in televisione come programmista-regista, nel 1979, ha realizzato un documentario Rai che racconta l’esistenza quotidiana di Zi’ Ntonie, un contadino analfabeta nato nel 1887. Questo incontro ha segnato la vita di De Francesco che, a distanza di tanti anni, ha scritto un libro che raccoglie le riflessioni di quell’anziano agricoltore: I misfatti della ragione. Riflessioni di un vecchio analfabeta sulla putrefazione postmoderna, pubblicato dal Cerchio nel 2020.

Consapevole di non poter essere completamente fedele all’originale, l’autore attualizza e traspone le parole del vecchio traducendole in italiano, ma utilizza frequentemente il corsivo e le maiuscole per rendere viva l’immagine di una lunga conversazione fra l’intervistato e il suo interlocutore, distaccato e non di rado critico verso ciò che ascolta.
Nell’arco della sua vita, Zi’ Ntonie ha assistito al cambiamento del mondo che lo circondava; in passato l’universo contadino era spesso considerato una subcultura nata dall’arretratezza della provincia, in seguito ai contadini è stata tolta la loro cultura autonoma, al fine di “civilizzarli”, e oggi gli ultimi superstiti tentano di sopravvivere adattandosi a una pseudocultura che ibrida il cascame contemporaneo con le ombre sbiadite del loro patrimonio valoriale originario. Il testo delinea l’antagonismo eterno tra la città, ossia la patria della Ragione, e la campagna, cioè la fortezza della Fede. Dal giorno in cui l’uomo si è macchiato del peccato originale la Ragione si è irrimediabilmente corrotta. Dio si era espresso con un preciso avvertimento: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare», tuttavia l’uomo disobbedì e divenne vittima della Ragione, affidandosi al culto del progresso, che illude il genere umano di essere parte di un mondo meraviglioso che in realtà è «una cloaca ripugnante». Secondo Zi’ Ntonie è verosimile «che il Dio Vivente – non avendo potuto salvare un’umanità stolta e ribelle – (neppure con l’intervento diretto del Figlio) non ha potuto fare altro che abbandonare il Mondo alle inflessibili Leggi Naturali. Per giustificare l’apparente indifferenza di DIO verso i tragici eventi storici si dice che il Signore riesca a trarre il BENE anche dal MALE. In realtà DIO realizza i Suoi propositi lasciando che il MALE prodotto dalla dissennatezza umana (MALE che – per sua natura – è perituro) SI AUTODISTRUGGA DA SÈ e trionfi automaticamente il BENE ETERNO». La Ragione e la fede incondizionata nel progresso si sono sostituite al Cristianesimo formando una nuova religione laica, intollerante, dogmatica e inumana, che rende lecita ogni turpitudine: «Una certa Scienza (la più arrogante) afferma che può definirsi persona solo chi ha coscienza di sé e della realtà che la circonda; la logica scientifica ne deduce che tutto ciò che non ha coscienza di sé e della realtà (come ad esempio, l’embrione, il feto, il neonato) può essere trattato come pura materia inerte, quindi, violata, indagata ed eliminata. Pare che uno scienziato, molto coerente, abbia impunemente scritto che il pollo e il maiale hanno più diritti di un embrione umano o di un feto, in quanto inoppugnabilmente essi sono più coscienti di questi ultimi: non si è trovato un solo filosofo che lo abbia sbeffeggiato!»
A Venezia, nel 1799, lo scrittore reazionario Lorenzo Ignazio Thjulen (1746-1833) pubblicò un libro con cui intendeva denunciare e irridere la sovversione linguistica prodotta dalla rivoluzione: il Nuovo vocabolario indispensabile per ognuno che brama intendere la nuova lingua rivoluzionaria. In questa sua anti-enciclopedia, alla voce Ragione scrisse: «Secondo i Democratici, la Ragione è una loro privativa, e come facoltà intellettuale dell’animo, e come effetto di quella. Possono fare tuttociò che vogliono; esercitare la più alta perfidia, i più neri inganni, le più tiranniche prepotenze, bestemmiare, spogliare, massacrare, essi hanno sempre Ragione, e siccome in Lingua Democratica Forza, e Ragione sono quasi sinonimi hanno Ragione non di rado […] La Ragione poi nel senso antico è bandita caparbiamente non solo dal Vocabolario Democratico, ma da ogni mente, cuore, ed azione di un vero Democratico». Il punto di vista di Zi’ Ntonie, invece, è diverso, per lui la Ragione è malata per principio: essa, storicamente, «è riuscita a conseguire il MALE anche quando si proponeva di fare il BENE». I misfatti della Ragione, infatti, è un testo singolare, che non può essere accostato in alcun caso alle opere pubblicate dai polemisti cattolici vissuti tra il ’700 e la prima metà del ’900, perché – come si vedrà – è portatore di un indirizzo di pensiero che si discosta nettamente da esse.


La Ragione, afferma l’anziano, è intrinsecamente nociva, essa ha generato la città, cioè la folla delle solitudini e dell’appiattimento, che è il contrario della comunità agro-pastorale, presentata come la comunione delle differenze. I centri urbani hanno sempre cercato di assimilare e fagocitare le campagne, diffondendo la cultura laico-razionale. L’agricoltore sostiene che in passato, in realtà, i braccianti aborrissero la scolarizzazione, poiché la scuola intossica lo spirito e produce lo sviluppo ipertrofico della Ragione, annullando quell’analfabetismo che costituiva la condizione ottimale per la sopravvivenza della conoscenza orale. Caduta preda del maligno, la Ragione si è ammantata di ideali fittizi: la giustizia e l’uguaglianza, e ha agito sulle comunità umane uniformando tutti gli individui, cancellando persino le distinzioni tra i sessi e trasformando gli uomini in burattini senza identità, svuotati di ogni essenza vitale. Non paga di aver intaccato la civiltà contadina, la cultura “alta” ha inventato la “cultura popolare” che riprende le forme esteriori dell’autentica cultura agro-pastorale, ma le reinterpreta tramite il lavoro degli intellettuali – i quali provengono necessariamente dalla «subcultura urbana» – che cercano di normare un linguaggio che non è codificabile e che non può esistere fuori dalla dimensione dell’oralità. La riscrittura delle tradizioni è soggetta all’arbitrio dei raccoglitori, che spesso vi aggiungono degli elementi estranei e ne alterano i significati originari.
La cultura dotta – appannaggio degli intellettuali – è esclusiva, mentre la cultura contadina era realmente condivisa, poiché integralmente accessibile a tutti, nel mondo contadino non c’era distinzione tra essere e apparire.
Secondo l’anziano, l’uomo contemporaneo (l’«homo demens») dovrebbe mostrare rispetto per il diverso anziché fingere di amarlo, ma l’amore si simula più facilmente e questa empatia fittizia non è che un modo per derubare i diversi anche di quel poco che possiedono: il buonista elargisce pubblicamente il frutto del sacrificio altrui per esibire la stima che gli dimostrano gli stolti. Sembra quasi lo stesso messaggio che voleva trasmettere Giorgio Gaber quando registrò Il potere dei più buoni: «Penso alle nuove povertà/ che danno molta visibilità/ penso che è bello sentirsi buoni/ usando i soldi degli italiani».
Per Zi’ Ntonie, gli intellettuali – sempre convinti che tutti vogliano diventare come loro – sono i propagandisti della Ragione e i portatori di tutti i vizi; l’unico modo che avrebbe questa sciagurata categoria di riscattarsi agli occhi di Dio sarebbe condannare fermamente la Ragione, di cui gli intellettuali hanno ampiamente assaggiato le perversioni.
Esponendo poi il suo punto di vista religioso, il solitario agricoltore medita (meglio non utilizzare il termine “ragiona”) sulle posizioni dei cattolici tradizionalisti e modernisti, ma applica un’interpretazione soggettiva della frase «Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto» e arriva a rifiutare non solo il Concilio Vaticano II, bensì pure il Concilio di Trento, poiché – dice Zi’ Ntonie – esso «si è proposto solo di contrapporsi alle tesi luterane, come quando ha apoditticamente affermato che DIO È CONOSCIBILE CON LA RAGIONE, scomunicando chi non accettasse un tale folle dogma. […] dopo che il Magistero della Chiesa aveva avvallato e addirittura glorificato Umanesimo e Rinascimento non aveva più senso condannare il Protestantesimo e l’Illuminismo che di quelle prime insane piante erano il NATURALE e INELUTTABILE frutto». Inoltre rifiuta di prestare ascolto ai teologi, perché Dio non si lascia intrappolare dalla Ragione, mentre le prime comunità cristiane erano «portatrici di una cultura essenzialmente antirazionale».
Il contadino ripudia la democrazia, figlia della Ragione, in quanto il popolo riunito indistintamente non può assolvere compiti che richiedono l’esperienza di un individuo competente e non può eleggere qualcuno che lo rappresenti, perché non può sapere chi realmente detiene le capacità adeguate per governare: «L’aspetto assurdo della DEMOCRAZIA sta nel fatto che il Potere, essendo fonte di privilegi, (e privilegio esso stesso) dovrebbe essere affidato al minor numero di persone possibile o, meglio ancora, a una sola persona schiva, riluttante, degna e carismatica dal momento che i privilegi dei detentori del Potere devono essere NECESSARIAMENTE pagati da chi SARÀ COSTRETTO a rinunciare all’essenziale o almeno a parte di esso […] quando si pretende, per demagogia o per stoltezza, di socializzare il privilegio offrendone a tutti, non si capisce dove e a chi si va a chiedere di rinunciare all’indispensabile per soddisfare una miriade di privilegiati». La redistribuzione dei privilegi «non fa che aggravare il peso a chi – per il limite oggettivo delle risorse – non riuscirà mai a partecipare al lauto banchetto» e, in questo sistema, la ribellione che si proclama finalizzata a un riscatto collettivo maschera il desiderio di vendetta che trasforma le vittime in carnefici, violando l’insegnamento cristiano. La soluzione può essere solo quella di un’equa e consenziente ripartizione della povertà, ossia della sofferenza.
Zi’ Ntonie è un pensatore senza compromessi – un estremista, se così si vuol dire – che sembra incarnare da un lato, effettivamente, un cristianesimo rurale ed eterodosso, che sfugge alla vigilanza ecclesiastica, e dall’altro una visione totalmente personale e propria. Chi scrive non condivide le opinioni di questo personaggio, ma il modello di pensiero del contadino, indipendente e autosufficiente, ha destato l’attenzione di Paolo De Lucia, docente dell’Università di Genova e prefatore del volume, che ne ha sottolineato la potenza e l’originalità rispetto all’orizzonte filosofico contemporaneo.
Riccardo Pasqualin

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