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LA COSTITUZIONE VITTIMA ILLUSTRE DEL CORONAVIRUS? Di Francesco Mario Agnoli

Come ha evidenziato l’articolo di Claudio Giovannico “Ipertrofia normativa e incertezza del diritto ai tempi del Covid-19” pubblicato in questa Rivista, la politica di contrasto all’epidemia di Covid-19 si è realizzata attraverso una valanga di provvedimenti sia delle autorità centrali che di quelle locali, spesso caratterizzati questi ultimi da regole e limiti più stringenti. Un’alluvione normativa che non solo ha costretto i cittadini ad acrobazie interpretative per adeguarsi a precetti dai contorni incerti, non di rado sovrapposti e contraddittori, ma ha anche aggravato un problema che, pur lasciato sullo sfondo dalle preoccupazioni per l’imperversare del morbo e il numero dei decessi, è connaturato a “misure di contenimento” incidenti sulle libertà garantite ai cittadini dalla Costituzione. In altri termini una questione di legittimità costituzionale, vitale per un democratico Stato di diritto, che non può essere risolta in base al semplice richiamo formale all’art. 16 della Costituzione, pur se è a questa disposizione, che prevede la possibilità di stabilire per legge limitazioni alla libertà di circolazione e di soggiorno “per motivi di sanità o di sicurezza”, che occorre rivolgersi per accertare la conformità costituzionale tanto del decreto legge n. 6 del 23/2/2020 (convertito nella legge n. 12 del successivo 5 marzo) e dei conseguenti provvedimenti applicativi, quanto del successivo d.l. 25/3/2020 n. 19, parzialmente abrogativo del precedente, entrato in vigore il 26 marzo 2020. Quest’ultimo, che, a differenza del precedente, cita espressamente l’art, 16 nel preambolo, mira a mettere un minimo d’ordine fra i provvedimenti in essere e a razionalizzare quelli futuri. Si prevede difatti: 1) tipizzazione delle misure con l’indicazione di 19 casi in presenza dei quali possono essere adottate “secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti del territorio nazionale ovvero sulla totalita’ di esso”;

2) indicazione delle caratteristiche procedurali e cioè “per periodi predeterminati, ciascuno di durata non superiore a trenta giorni, reiterabili e modificabili anche più volte fino al 31 luglio 2020, termine dello stato di emergenza dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, e con possibilità di modularne l’applicazione in aumento ovvero in diminuzione secondo l’andamento epidemiologico del predetto virus” (art. 1/comma1); 3) attribuzione del potere di adozione al Presidente del Consiglio dei Ministri, con propri decreti su proposta del Ministro della Salute, sentite le autorità nazionali e locali come indicato dall’art. 2 /comma 1, o al Ministro della Salute nelle more dell’adozione dei d.p.c.m., ma “con efficacia limitata fino a tale momento, in casi di estrema necessita’ e urgenza per situazioni sopravvenute”; 4) limitazione della competenza delle Regioni alla emanazioni di proprie misure “ulteriormente restrittive” (esclusa quindi l’eventualità di misure meno restrittive di quelle nazionali) in caso di sopravvenuto aggravamento del rischio sanitario nel loro territorio o in una parte di esso, ma esclusivamente “nell’ambito delle attività di loro competenza” e nelle more dell’adozione dei d.p.c.m. “con efficacia limitata fino a tale momento” (art. 3/ comma 1); 5) divieto ai Sindaci di adottare “ordinanze contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l’emergenza in contrasto con le misure statali, ne’ eccedendo i limiti di oggetto cui al comma 1” (art. 3 comma 2); 6) applicazione, come previsto dall’art. 3/3° comma, delle disposizioni dell’art.3 anche agli atti posti in essere per ragioni di sanità in forza di poteri attribuiti da ogni disposizione di legge previgente (dovrebbe trattarsi in particolare della legge n. 833/’78, istitutiva del servizio sanitario nazionale, e del decreto legislativo n. 112/’98 e del T.U. sull’ordinamento degli enti locali, che prevedono, appunto, ordinanze contingibili e urgenti in materia di igiene e sanità pubblica ) . Passando alla elencazione delle misure di contenimento tipizzate, adottabili “secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti del territorio nazionale ovvero sulla totalità di esso”, la lista dei 19 casi si apre con la: “limitazione della circolazione delle persone, anche prevedendo limitazioni alla possibilità di allontanarsi dalla propria residenza, domicilio o dimora se non per spostamenti individuali limitati nel tempo e nello spazio o motivati da esigenze lavorative, da situazioni di necessita’ o urgenza, da motivi di salute o da altre specifiche ragioni” (art. 1/comma 2 lettera a). Dal momento che sono consentite limitazioni e che non può dubitarsi della ricorrenza di “motivi sanitari”, la costituzionalità, con riferimento anche ai criteri di adeguatezza e proporzionalità, potrà e dovrà essere accertata, di volta in volta, in ordine ai singoli provvedimenti, il che ovviamente vale per tutte le 19 ipotesi previste. Tuttavia vi sono misure che già nella loro generica previsione pongono, prima ancora dell’adozione dei provvedimenti attuativi, problemi di costituzionalità, anche perché incidono, oltre che su quella di circolazione su altre libertà costituzionalmente garantite. Si tratta, quanto meno, della libertà religiosa (art. 7, 8 e 19 Cost.), della libertà economica (artt. 4, 35, 41 Cost.), della libertà di riunione (art. 17). Quest’ultima costituisce il caso più eclatante in quanto le disposizioni che la riguardano (art. 2/2° comma lettera f): “limitazione o divieto delle riunioni o degli assembramenti in luoghi pubblici o aperti al pubblico”; e lettera g): “limitazione o sospensione di manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, di eventi e di ogni altra forma di riunione in luogo pubblico o privato, anche di carattere culturale, ludico, sportivo, ricreativo e religioso”) sono suscettibili di comportarne, come in effetti è avvenuto, il pressoché totale pur se temporaneo annullamento. Il che vale anche per molte misure di cui alle lettere successive (riguardanti, congressi, eventi e competizioni sportive, attività ludiche e ricreative, cinema, teatri, ecc.), in gran parte specificazioni del più generico divieto di riunione, spesso non prive di aspetti economici (il che le porta a incidere anche sulla libertà economia o di impresa). Il disposto della lettera g), che va completato con la misura di cui alla lettera h) (“sospensione delle cerimonie civili e religiose, limitazione dell’ingresso nei luoghi destinati al culto”), riguarda anche, incidendola profondamente, la libertà religiosa (art. 7, per i rapporti con la Chiesa cattolica, e art. 19 Cost.). L’art. 7 ha costituzionalizzato i Patti Lateranensi, quali oggi risultano dalle modifiche apportate dall’Accordo stipulato il 18 febbraio 1984, che , fra le altre cose, assicura alla Chiesa “la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica” (art. 2). Una libertà in parte sospesa, in parte limitata dal d.l. n. 19/2020, come del resto, sotto la vigenza del precedente d.l., dal d.p.c.m. 8 marzo 2020. Nonostante che i vescovi italiani non si siano opposti e abbiano anzi disposto in conformità si può dubitare della sufficienza di tale consenso, che, oltre tutto, per quanto se ne sa, non risulta nemmeno frutto di un previo accordo formale, ma, al più, di una presa d’atto e conseguente adesione da parte ecclesiastica. Del resto, proprio la mancanza a monte di un accordo formale unita alla scarsa precisione del contenuto della norma rende pressoché quotidiano il rischio di concrete violazioni della libertà di religione. Sono in ballo, difatti, non solo la celebrazione di Messe e altre pubbliche funzioni, certamente o
ggetto dell’informale adesione dei vescovi italiani, ma anche altre forme di esercizio del culto, come la somministrazione dei Sacramenti, che potrebbero essere o no comprese nel termine “cerimonie religiose”. In concreto, il caso si è presentato in questo periodo soprattutto per le estreme unzioni e i matrimoni, che un’interpretazione letterale sembra includere fra le cerimonie temporaneamente vietate. Dalle trasmissioni dei mass-media con immagini di sacerdoti che, ritti davanti al portone per loro sbarrato dell’ospedale, impartiscono una sorta di estrema unzione collettiva ai ricoverati defunti, il divieto sembra l’opzione adottata per questo Sacramento nella realtà quotidiana. Per i matrimoni la situazione si è complicata a causa della celebrazione di matrimoni negli uffici comunali, con ampia risonanza nei giornali locali, nonostante il divieto riguardi anche le “cerimonie civili”. Per porre riparo alla diversità di trattamento ai danni del matrimonio religioso è intervenuta, il 28 marzo, la nota della Direzione centrale degli Affari dei Culti del Ministero dell’Interno, a chiarire che “ove il rito si svolga alla sola presenza del celebrante, dei nubendi e dei testimoni – e siano rispettate le prescrizioni sulle distanze tra i partecipanti – esso non è da ritenersi tra le fattispecie inibite dall’emanazione delle norme in materia di contenimento dell’attuale diffusione epidemica di Covid-19” . Considerazioni che dovrebbero valere per altri Sacramenti quali il matrimonio, l’ordine, il battesimo, ma di fronte al testo normativo e al silenzio della nota ministeriale permangono dubbi e incertezze, che già di per sé si prospettano come violazioni della libertà di religione a danno tanto della Chiesa cattolica quanto dei singoli cittadini. Non va, difatti, dimenticato che fondamentalmente il “diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata” è garantito dall’art. 19 Cost. a tutti in quanto cittadini e non in quanto membri della Chiesa cattolica o di altra Confessione religiosa . Infine la libertà economica e d’impresa (artt. 4, 35, 41 Cost.), certamente colpita da molte delle ipotesi previste dall’art. 2 del d.l. n. 19/2020, in particolare quelle di cui alle lettere u) (“limitazione o sospensione delle attività commerciali di vendita al dettaglio a eccezione di quelle necessarie per assicurare la reperibilità dei generi agricoli, alimentari e di prima necessità…”), v) (“limitazione o sospensione delle attività di somministrazione al pubblico di bevande e alimenti…”), z) (“limitazione o sospensione di altre attività d’impresa o professionali…”). Incidente su questa libertà, sia pure in senso opposto in quanto non sospende, ma impone la continuazione dell’attività, il disposto del 3° comma, che incide anche sul diritto di sciopero. Tirando le fila, va riconosciuto che le limitazioni alla libertà di circolazione determinate dalla necessità di contrastare il diffondersi dell’epidemia finiscono inevitabilmente per incidere anche su altre libertà costituzionalmente garantite, il cui esercizio presuppone, in molti casi e forme, la più ampia libertà di movimento. Tuttavia, proprio perché si tratta di libertà diverse, per le quali nemmeno è espressamente prevista la possibilità di sospensioni o limitazioni, occorre, per evitarne l’illegittimità costituzionale, che i provvedimenti limitativi della libertà di circolazione, tanto i primari (aventi valore di legge), quanto quelli, secondari, attuativi vengano adottati “secondo principi di adeguatezza e proporzionalità” non solo al rischio sanitario effettivo, come recita l’art. 1/comma 1 del d.l. n. 19/2020, ma anche alla necessità di ridurre al minimo indispensabile la contrazione, in termini sia quantitativi che temporali, di tutte le libertà costituzionali coinvolte. Francesco Mario Agnoli

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