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"L'IMPERATORE". Recensione di Riccardo Pasqualin.

G.Mannocci, “L’Imperatore. Radici, evoluzione e attualità della funzione imperiale nel Giappone contemporaneo” Il Cerchio, 2019.

L’abdicazione dell’Imperatore del Giappone, Akihito, il 30 aprile 2019, con la successiva intronizzazione di suo figlio Naruhito, è stata un evento che non ha mancato di suscitare un grande interesse anche presso l’opinione pubblica italiana. Nella penisola sono molti gli appassionati e gli studiosi della cultura giapponese, spesso però le notizie che si hanno riguardo le effettive funzioni dell’Imperatore sono imprecise. È molto diffusa, ad esempio, la convinzione erronea che l’Imperatore (il Tennō in giapponese, ossia il «Sovrano celeste») abbia “rinnegato” ufficialmente la sua natura divina, accettando un precorso di secolarizzazione imposto dalla potenza americana. In secondo luogo sbaglia anche chi considera l’Imperatore un capo di stato. Nel paese del sol levante, d’altro canto, l’“argomento Imperatore” è ancora un tabù e su questa materia è assai più facile trovare delle pubblicazioni di giuristi e storici stranieri, poiché i giapponesi vogliono preservare questo aspetto imprescindibile della loro identità nazionale da dibattiti che possono essere percepiti da essi come sterili. Alla corretta interpretazione del ruolo del Tennō ha dedicato un saggio Giacomo Mannocci: L’Imperatore Radici, evoluzione e attualità della funzione imperiale nel Giappone contemporaneo (Il Cerchio, 2018). Pisano, dottore di ricerca in diritto costituzionale comparato, Mannocci ripercorre con perizia le grandi trasformazioni avvenute nell’arcipelago dai secoli scorsi sino ai giorni nostri. Nonostante la secolarizzazione, chiarisce lo studioso, per i giapponesi il Tennō è l’incarnazione del paese; e dalla «sfera del divino» deriva non il suo potere, ma la sua figura e la sua funzione, che si estrinsecano negli atti devozionali della tradizione shintoista. Oggi, stando alla costituzione in vigore, gli organi statali si astengono da ogni attività religiosa, mentre il Tennō non rappresenta un’autorità dello stato e non lo personifica, ma lo incarna in una prospettiva che appartiene alla dimensione del sacro. Il Giappone, quindi, è «l’unico paese al mondo la cui Costituzione prevede un Imperatore anche se a questo – paradossalmente – non può assolutamente essere attribuita la qualifica di Capo dello Stato», ma solo quella di simbolo. In Giappone «il Tennō è una divinità manifesta, è il supremo sacerdote shintoista e discende da una dinastia ritenuta discendente diretta della divinità. Questo non significa però che il Tennō è un dio, come inteso nelle grandi religioni monoteiste», perché la nozione di kami – fondamentale nello shintoismo – non può essere tradotta efficacemente con il termine “divinità”. Nel 1868, il Giappone iniziò un rapido processo di modernizzazione che lo portò a divenire uno stato efficiente e industrializzato governato dal Tennō. Cominciò la cosiddetta restaurazione (o rinnovamento) Meiji, un’epoca di grande ristrutturazione sociale ed economica, segnata da un crescente nazionalismo. Per ragioni di carattere storico e religioso, tutto il nuovo assetto politico fu incentrato sulla figura del Tennō. Alle agitazioni interne pose fine l’Imperatore Mutsuhito (1852-1912, intronizzato nel 1867), il quale abolì lo shogunato e la struttura feudale, giungendo, nel 1889, a promulgare la prima costituzione, il cui testo è fortemente debitore al modello prussiano. Il governo nipponico, infatti, era rimasto fortemente impressionato dalla rapidità con cui i tedeschi avevano sconfitto i francesi nel 1870. Un altro cambiamento radicale fu la coscrizione obbligatoria, introdotta nel 1873. Come sottolinea l’autore del saggio: «fino ad allora l’utilizzo delle armi era stata una prerogativa esclusivamente dei samurai. È attraverso le Forze armate e la valorizzazione dello shintoismo che fu possibile creare uno Stato nell’accezione moderna del termine, dopo secoli di particolarismo feudale». Di fatto, si può affermare che il Giappone fu un impero – nel senso proprio del termine – esclusivamente nel periodo che va dal 1868 al 1945: solo in quegli anni il Tennō regnò e governò, ricoprì la funzione di capo dello stato e delle forze militari, mentre, nei secoli precedenti, gli shogun avevano esercitato il loro potere in suo nome relegandolo nel suo palazzo a compiere solo le funzioni che gli erano proprie, ossia quelle religiose e culturali. L’altra data simbolo nella storia del Giappone è il 2 settembre 1945, quel giorno, sulla portaerei americana Missouri, ancorata nella baia di Tokyo, le forze armate e il governo giapponese sottoscrissero la resa incondizionata davanti al generale Douglas MacArthur (1880-1964), subordinando la loro autorità a quella del Comando Supremo Alleato. In quel momento crollò l’intero impianto ideologico su cui si fondavano le istituzioni: cambiò la concezione della sovranità imperiale, il culto shintoista venne ridimensionato e le forze armate furono disciolte. Hirohito (1901-1989), il 27 settembre, compì un grande gesto di onestà e alla presenza di MacArthur, come comandante supremo delle forze nipponiche, si assunse la piena responsabilità del conflitto. Tra gli statunitensi, i cinesi, gli australiani e i neozelandesi, alla fine della guerra, si era diffusa l’opinione che il Tennō dovesse essere processato come un criminale di guerra, ma MacArthur mantenne un atteggiamento pragmatico, consapevole che solo la conservazione di questa figura poteva tenere uniti i giapponesi e garantire una transizione pacifica verso il nuovo regime democratico. Conseguentemente, il generale «iniziò a far presente ai suoi interlocutori giapponesi che Hirohito non solo non sarebbe stato processato, ma non gli sarebbe stata pure richiesta una abdicazione, fatto che veniva considerato di estrema pericolosità per la gestione dell’occupazione». Tra il 1946 e il 1952 il Giappone fu sottoposto al regime d’occupazione statunitense, dovette adottare una costituzione democratica, abolendo le prerogative dell’Imperatore e stabilendo il disarmo militare permanente. Ma nel ’46 il Tennō rinunciò effettivamente alla divinità? Alla risposta a tale quesito, e alla controversa «Dichiarazione di umanità dell’Imperatore» (1° gennaio 1946), Mannocci dedica una parte specifica del testo. Lo studioso constata che, verosimilmente, Hirohito adottò una soluzione di compromesso: lasciò credere ai vincitori (provenienti da una cultura molto distante dalla sua) di aver rinunciato alla divinità, permettendogli di usare questa sua dichiarazione a scopo propagandistico con l’opinione pubblica dei paesi stranieri, «Tutto ciò sarebbe stato utile in vista del definitivo abbandono dell’idea di processarlo come criminale di guerra». Chiarito anche questo punto, in poco meno di una settimana, MacArthur poté scrivere la nuova costituzione che impose al Giappone, e si evitarono ulteriori contrasti, nell’ottica di costruire una «pace internazionale fondata sulla giustizia e sull’ordine» e sulla rinuncia alla guerra. Oggi il Tennō ha mantenuto intatta la sua funzione mistico sacerdotale di simbolo, e l’intronizzazione è una cerimonia puramente religiosa, che non vede il coinvolgimento di alcun organo costituzionale; un fatto, questo, che lo distingue nettamente dagli attuali monarchi europei (Spagna, Belgio, Norvegia). L’Imperatore è un volume robusto, la cui bibliografia è formata da opere scritte in diverse lingue. Con questo libro, a Giacomo Mannocci va il merito di aver prodotto un testo che unisce la profondità dell’analisi alla chiarezza e all’ampiezza delle spiegazioni: una scelta che mostra il desiderio di rendere accessibili dei concetti molto complessi (come lo sono quelli da lui trattati) anche ad un pubblico potenzialmente più ampio di quello strettamente specialistico. Giunti al termine dell’opera ci si rende perfettamente conto di come “Imperatore” sia, in realtà, una traduzione inadeguata per indicare il Tennō e che – come ribadito dall’autore – sarebbe preferibile l’utilizzo del vocabolo originale in lingua giapponese.

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