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ALCUNE QUESTIONI IRRISOLTE DELLA PANDEMIA.

Nel suo intervento sul The Mail on Sunday, Lord Jonathan Sumption, ex membro della Suprema Corte di Giustizia inglese, ha affermato che il raggiungimento di una società Covid free, una diffusione zero dell’epidemia da Sars-CoV-2, è un miraggio, e che i ripetuti lockdown sono un sinistro esperimento nel quadro delle democrazie. Sumption mette in evidenza che la nostra civiltà ha normalizzato l’accettazione di molte malattie, e non si capisce perché l’approccio verso la Covid-19 dovrebbe essere differente. La vera questione su cui la società civile ed i politici dovrebbero interrogarsi è quale numero di morti si è disposti ad accettare. Parole di buon senso per una serie di ragioni, in primis perché la morte è parte ineluttabile del ciclo della vita, e perché i danni al tessuto socio-economico potranno essere drammatici – disoccupazione molto elevata e inflazione fuori controllo, ad esempio – minando per lustri la qualità della vita sotto diversi aspetti, impattanti anche sulla Salute pubblica.

Quel che è mancato è stata una valutazione esaustiva dei benefici delle misure restrittive a dispetto dei loro costi. D’altronde come ha sottolineato il Prof. John Ioannidis della Stanford University – epidemiologo i cui lavori sono di riferimento, tra i più citati dai colleghi – in una analisi comparativa di diverse aree geografiche, pubblicata dal European Journal of Clinical Investigation lo scorso 5 Gennaio (cofirmatari il Dr. Eran Bendavid e il Prof. Jay Bhattacharya), l’andamento dell’epidemia si è mostrato simile in differenti contesti, causato più da una naturale dinamica di propagazione che dall’impatto delle prescrizioni governative. Il lockdown poteva forse essere giustificato all’inizio quando si annunciava un nuovo virus altamente trasmissibile che procurava una mortalità dello 3,4% – il dato estrapolato in Cina – una misura per guadagnare tempo in favore delle strutture sanitarie. Ioannidis è dell’avviso che «il lockdown poteva essere una scelta difendibile, disperata, quando ancora conoscevamo poco del Sars-CoV-2, ma ora dovremmo evitare esagerazioni».

Un generalizzato confinamento per contrastare la pandemia, un approccio che intende i cittadini attendere pazientemente fino a quando le strutture sanitarie   abbiano superato una fase di stress critico, per ritornare alla vita garantita dai diritti costituzionali, alla lunga ha effetti devastanti e sproporzionati per i diversi ceti sociali, sopratutto rispetto alla minaccia che ad oggi il virus comporta. Un virus facilmente trasmissibile ma di bassa letalità percentuale, statisticamente irrilevante sotto i 50 anni.

In USA sono andati perduti più di 20 milioni di posti di lavoro durante la pandemia. In Italia si stenta ancora a valutarne a pieno la portata, visto il blocco dei licenziamenti. All’orizzonte la situazione appare nuovamente compromessa dall’emergere delle nuove varianti del virus, che potrebbero eludere l’efficacia della vaccinazione di massa. Cosa comporta la presenza delle varianti del virus? In gergo si definisce “evasione all’immunità”, elusione che rende più remota l’immunità di gregge. Il Sars-CoV-2 è un virus RNA, quindi soggetto a continue mutazioni, che potrebbe assai presumibilmente rimanere endemico nel tempo, un coronavirus stagionale, meno problematico. In altri termini confermando l’adattamento progressivo all’ospite.

In accordo agli studi pubblicati su Science, a Manaus, la città amazzonica più popolosa del Brasile, la sieroprevalenza è stata stimata essere al picco di Ottobre del 76% e ipotizzato nelle settimane seguenti la prossimità all’immunità di gregge, prima che il contagio riemergesse a causa della variante del virus. Le varianti che rendono più trasmissibile il Sars-CoV-2 e che possono reinfettare individui guariti, spingono il raggiungimento dell’eventuale immunità di gregge verso una percentuale maggiore di popolazione contagiata.

Con l’apparire delle varianti del virus la lecita domanda è per quanto durerà lo stato di emergenza. Nessuno può dire con certezza da quanto tempo le singole varianti sequenziate siano comparse, solo quando sono state rilevate. In Danimarca, dove vengono sequenziati tutti i tamponi positivi al virus, la c.d variante inglese è risultata essere del 36% più contagiosa, «con il raddoppio di casi a settimana» sostiene l’epidemiologo Lone Simonsen «dallo 0,5% di Dicembre al 13% di fine Gennaio». Simonsen afferma anche «che estendere il lockdown per altri mesi avrebbe costi sociali troppo alti, bisogna accelerare la vaccinazione per gli over 50, per riaprire tutte le attività quanto prima» e che «a quel punto si potrebbe pensare al Sars-CoV-2 come un’influenza stagionale, che occasionalmente uccide giovani in salute».

La preoccupazione su scala globale è che più il virus circola, più può essere soggetto a mutazioni che ne aumentano la trasmissibilità, con più persone infettate e maggiore il numero che necessita ospedalizzazione in un lasso di tempo più breve. Questo ha fatto dire a qualcuno in Italia che la strada da percorrere è quella australiana: una manciata di positivi e si risponderebbe con una chiusura tendenzialmente pensata come breve, dura, chirurgica e locale. A Melbourne però il lockdown è proseguito per 111 giorni, dal 2 Giugno fino al 26 Ottobre, ogni cittadino vincolato ad uscire per non più di 1 ora al giorno dalla propria residenza e mai allontanarsene per più di 5 km, l’apertura delle attività commerciali consentita esclusivamente a quelle considerate essenziali. Questo genere di imposizioni protratte, antidemocratiche, sono davvero proporzionate ai danni che il nuovo coronavirus può produrre?

L’idea di una zona rossa preventiva, precauzionale, o per consentire un tracciamento più preciso della diffusione della Sars-CoV-2, implica che il numero dei tamponi effettuati non è realmente indicativo dell’indice di contagio. Indica anche che sostanzialmente si continua a considerare gli asintomatici come pre-sintomatici. Il Prof. Allyson Pollock in un articolo dello scorso Dicembre pubblicato sul British Medical Journal  ha affermato che le prime stime sull’entità degli asintomatici, 80% dei positivi al virus, dovrebbero essere riviste al ribasso in quanto il 49% delle persone considerate asintomatiche nel tempo svilupperebbero sintomi, per quanto moderati, e sarebbero quindi infettive. D’altra parte lo studio di sieroprevalenza effettuato a Wuhan su quasi 10 milioni di abitanti, i cui risultati sono stati resi noti il 20 Novembre del 2020, non ha segnalato alcuna evidenza di trasmissione asintomatica del virus.

Una volta ancora è bene volgere lo sguardo a quanto accade in Svezia. I giornali nostrani hanno insistentemente affermato che la Svezia si sarebbe convertita all’approccio che si è avuto nel resto dell’Europa. Ebbene apprendiamo dal sito del Governo svedese di cosa esattamente si tratta: ingressi contingentati nei negozi, nelle palestre e nelle piscine, dove per ogni persona si devono avere dieci metri quadri a disposizione; lavoro da remoto quando possibile, tavoli nei ristoranti per non più di quattro persone, consigliati incontri con non più di otto partecipanti, l’uso della mascherina sui trasporti pubblici nelle ore di punta, di non viaggiare se non è necessario, agli anziani di astenersi dall’interazione sociale. E nessun coprifuoco, anche se ulteriori misure potranno essere implementate in futuro. Matura democrazia quella svedese, che non ha costretto alla sospensione dei diritti, e che tende a non imporre, semmai a suggerire, determinati comportamenti. Ad oggi in Svezia sono attestati 12.649 decessi registrati per Covid su una popolazione totale di 10.139.947 individui, ergo in proporzione una mortalità da Sars-CoV-2 inferiore a quella italiana.

La questione delle scelte politiche di contenimento della pandemia è ora sul tavolo del nuovo Governo Draghi con l’auspicio che si possa finalmente fare chiarezza su quel che ad oggi si conosce davvero del virus, con un ampio coinvolgimento informato di coloro che dovrebbero rappresentare gli interessi del popolo.

P.A.

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