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SEZIONI UNITE: RAGIONEVOLE ACCOMODAMENTO ANCHE PER LA SALUTE? Di Francesco Mario Agnoli.

   Ho già avuto occasione di  occuparmi in questa stessa sede della sentenza delle Sezioni Unite Civili riguardanti la presenza dl Crocifisso (e di altri simboli, sia religiosi che a-religiosi) nelle aule scolastiche (n. 24414 del 9/9/2021). Per il fatto e  commento  rinvio a quanto già scritto. Qui vorrei invece occuparmi di un aspetto che nella mia lettura (ma anche nelle intenzioni dei componenti del Collegio – così almeno mi è sembrato di intuire  -) va oltre i confini  della sentenza per assumere valore anche “politico” quale proposta per un corretto svolgimento della pratica  democratica con particolare riferimento all’attività di governo.

   Senza nascondermi  che questa mia lettura  è certamente influenzata dall’eccezionalità del tempo che stiamo vivendo (ma è ben possibile che a questa abbiano pensato anche i componenti del Collegio giudicante), mi riferisco al “ragionevole accomodamento”, presentato dalle  Sezioni Unite come l’unica procedura possibile di soluzione dei conflitti coinvolgenti i diritti fondamentali dell’uomo quale “ricerca, insieme, di una soluzione mite, intermedia, capace di soddisfare le diverse posizioni nella misura concretamente possibile, in cui tutti concedono qualcosa facendo, ciascuno, un passo in direzione dell’altro”. Una procedura particolarmente adeguata al conflitto oggetto diretto di quel giudizio (affissione o non affissione del simbolo cristiano del crocifisso alle pareti di un’aula scolastica) e, difatti, raccomandata – si specifica in motivazione – “da autorevole dottrina quando si tratta di libertà religiosa e di coscienza”.

 “Particolarmente” non significa però “esclusivamente”. In realtà molti punti della motivazione a sostegno della necessità di una procedura idonea a conseguire il risultato “mite” del “ragionevole accomodamento” non riguardano  soltanto  la libertà religiosa  e di coscienza, ma, invece, tutte le situazioni  coinvolgenti diritti fondamentali. A tutte queste fanno, difatti,  riferimento le sentenze n. 264/2012 e n. 85/2013  poste  a capo di questa parte della motivazione: Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre “sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro” (sentenza n. 264 del 2012). Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona (sentenza n. 85 del 2013)”.

   Le ulteriori sentenze della Corte Costituzionale citate a  conferma  coprono ampi territori normativi: n. 266 del 2012 (trattamenti pensionistici), n. 10 del 2015 (regimi fiscali differenziati), n. 63/2016 (legge lombarda su edifici di culto), n. 20/2017 (ordinamento penitenziario e corrispondenza dei detenuti), n. 58 del 2018 (rifiuti e ambiente).

   Non per caso si è parlato all’inizio di  valore “politico”, perché la sentenza si occupa anche della regola della maggioranza, propria di ogni sistema democratico, per concludere che  ”senza correttivi non può utilizzarsi nel campo dei diritti fondamentali, che è dominio delle garanzie per le minoranze e per i singoli“. Quando sono in campo i diritti fondamentali  la procedura del “ragionevole accomodamento”, non è in  contrasto,  ma  “coerente con l’idea di una democrazia in cui il processo di costruzione della decisione è fondato su, e accompagnato da, una ricca e argomentata discussione e in cui la ricerca del compromesso tra la pluralità di  interessi e dei valori in gioco è affidato a una limpida e pubblica capacità di ascolto delle ragioni altrui e di ricerca di un punto di mediazione e di dialogo”.

   Per venire all’attualità, cui evidentemente si ispirano le presenti riflessioni, l’esigenza del “ragionevole accomodamento” è tanto più pressante  quando si tratta del fondamentale diritto alla salute, per il quale l’art. 32  della Costituzione  già al proprio interno evidenzia, ab origine, l’indispensabilità di una ragionevole conciliazione fra il “fondamentale diritto dell’individuo” e “l’interesse della collettività”.

    Ovviamente il “ragionevole accomodamento” si estrinseca in forme  diverse a seconda  dei diritti fondamentali in gioco e dell’ambito di applicazione. Soprattutto  nel risultato finale può variare il peso riconosciuto a uno dei diritti in gioco e il sacrificio richiesto agli altri, ma per la particolare natura di questi diritti, che  mai possono  venire non solo totalmente sacrificati, ma nemmeno eccessivamente compressi,  resta l’esigenza di evitare esiti che  facciano uno “tiranno”  “ai danni delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette”. Un simile risultato  lederebbe  la dignità della persona, di cui questi diritti costituiscono, singolarmente e tutti insieme, espressione. Di qui  la prassi  seguita da tutti i paesi democratici, che quando si tratta dei diritti fondamentali procedono con grande cautela e non senza avere prima consultato i partiti politici (inclusi quelli di minoranza) ed essersi  confrontati con le parti sociali per giungere a un risultato “mite” in quanto  il più possibile condiviso. L’esatto contrario, quanto a risultato, della strada, estremamente rigida e dura,  scelta per contrastare la diffusione del virus Sars-Cov2, che nel rapporto fra diritto dell’individuo e interesse della collettività alla salute ha totalmente sacrificato al secondo  la colonna portante del primo: il “consenso informato” oltre ad avere nel corso del tempo severamente compresso  altri diritti fondamentali come (ma non solo) la libertà di circolazione e soggiorno (art. 16 Cost.).

    Fra i tanti possibili esempi,  particolarmente significativo del disinteresse  del governo per un esito “mite” (condiviso) e della scelta a favore della “tirannia” di un diritto sugli altri il sostanziale  rifiuto (del tutto insufficiente la piccola riduzione di prezzo concessa) della richiesta di gratuità  del tampone alternativo alla inoculazione del vaccino, avanzata dai  sindacati in vista della  obbligatorietà del  green pass per accedere al luogo di lavoro. Un rifiuto motivato dalla volontà di  ridurre al minimo, con l’accrescerne le difficoltà, le alternative alla vaccinazione. Un esito opposto a quello del “ragionevole accomodamento” suggerito dalla Sezioni  Unite, per di più a rischio, oltre che di ulteriore compressione del diritto individuale alla salute (scelta della cura), di discriminazione dei cittadini che, non avendo, a differenza di altri,  la possibilità di sostenerne a lungo  le spese, non possono avvalersi dell’alternativa/tampone.

    In conclusione: regge l’ipotesi di una implicita lezione non solo di diritto, ma anche di democrazia delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione al Governo?

Francesco Mario Agnoli

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